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L'Essere è, e tuttavia diviene; la storia umana ha esibito una serie di configurazioni politico-sociali che, pur nel loro succedersi, sono riuscite a mantenersi provvisoriamente stabili; il nostro "Io" ci appare come quel qualcosa che, nel suo permanere saldamente giorno dopo giorno, si alimenta dell'esperienza della contingenza irripetibile, repentina e imprevedibile. Ecco qua un prima lista, breve e incompleta quanto si vuole ma niente affatto approssimativa, di questioni che paiono irresolubili se si sosta, sicuri e pigri, in quella zona in cui non vi sono che due alternative: nel mondo, nelle cose, nella vita, o vi è moto o vi è quiete. Ciò che sempre siamo chiamati a comprendere è invece proprio la dialettica e l'intreccio tra questi due momenti, forse addirittura la loro identità. I modi in cui si è tentato di farlo hanno una lunga tradizione, e questo libro a cura di Federico Sollazzo ne prende in considerazione alcuni. Lo scopo, oltre alla evidente ratio accademica, sembrerebbe quello di fornire al lettore un qualche antidoto contro quella tonalità emotiva, oggi così diffusa, di "fine della storia".

 

La fine della storia

 

Ciò che lega i contributi di questa miscellanea è il tentativo di pensare il mutamento e le sue forme contemporanee, così come quello di gettare uno sguardo sulle cristallizzazioni storiche che ne impediscono il procedere. In particolare, tra le righe di ogni contributo mi pare rilevabile un avversario preciso: la sensazione che la storia, oggi si sia conclusa. Cosa ci porta a credere che la storia sia giunta a un termine, che le sue porte si siano chiuse da tempo dietro di noi e che tutto sia già stato fatto e detto? Che cos'è che crea questa annichilente sensazione di paralisi politica e latu senso esistenziale?

 

Riflessioni heideggeriane: oblio dell'Essere e tecnicizzazione (Attraversamenti teoretici)

 

La nostra percezione del tempo è anzitutto una di necessità logica. È per questo che la prima delle due parti del volume (e la più breve: due articoli) viene intitolata Attraversamenti teoretici, laddove per "attraversamento" è necessario intendere quel movimento che porta con sé un mutamento, il superamento di una soglia che fino ad allora stava stabilmente al limite del nostro ambito di concepibilità, della nostra forma di vita. L'interlocutore degli autori Marco Viscomi e Paolo Beretta è Martin Heidegger, il quale, com'è noto, riteneva le questioni umane risolvibili su di un piano anzitutto ontologico. Ed è da lì, dunque, che egli parte. Solita solfa liceale dell'essere in quanto essere? Non proprio, o quanto meno non solo. È in questa sezione del volume che, infatti, fa la sua prima comparsa un concetto chiave: la modalità del possibile. Heidegger tratta l'Essere come ciò che storicamente si disvela, e diciamo pure come quel generico ambito di infinite possibilità che consente il manifestarsi storico di una delle configurazioni possibili: quell'ente particolare, quel fatto irripetibile, quella particolare datità. È l'Essere che, nella sua inesauribilità, consente alla storia umana di non finire.

Ma la storia della metafisica ci consegna un panorama diverso, che nella nostra epoca troverebbe il suo compimento e che Heidegger compendia nella formula di "oblio dell'Essere"; una chiusura, dunque, del poter-essere-altrimenti (del mondo, di noi stessi); una cristallizzazione immobile e mortifera delle stesse condizioni di possibilità dell'esperienza in una singola esperienza definita. Sostando un pelo sulle considerazioni heideggeriane circa l'oggetto tecnico, potremmo dire che è come se lo sfondo utilizzabile della nostra stessa esistenza fosse divenuto appannaggio di un meccanismo di cui noi non siamo gli architetti, bensì le risorse (Heidegger [1954] 2017). 

 

Per ora, in astratto. Ma abbiate pazienza

 

Potreste, a questo punto, giustamente insorgere: e di simili astrazioni che ce ne facciamo? Ma abbiate pazienza. Si è trattato, dichiaratamente, di Attraversamenti teoretici. Prima di procedere, però, è forse opportuno fare una sintesi più chiara di quanto detto, forzando la mano sui concetti (Heidegger non ce ne vorrà): la nostra epoca sarebbe caratterizzata in maniera particolare dalla chiusura asfissiante di ogni possibilità (oblio dell'Essere), in quanto ciò che oramai noi stessi siamo può sussumersi nel nostro ruolo di risorse all'interno di un processo tecnico-produttivo del quale non abbiamo nessun controllo. Vi invito per il momento a trattenere questo succo. Ci servirà. 

 

Seconda parte: Attraversamenti sociali

 

Il muro contro il quale la nostra prassi storica, oggi, sbatterebbe in continuazione (regalandoci la fastidiosa sensazione che tutto sia già stato fatto e detto), sarebbe dunque una barriera che si alimenta della chiusura progressiva di ogni ambito di possibilità. Come imprigionati, non vedremmo che sbarramenti dovunque guardiamo. In questa sezione del libro (assai più ampia della prima: sei contributi) gli autori fanno tutti lo sforzo di delucidare la struttura materiale di questi sbarramenti.  

 

Tecniche di inquadramento

 

La pervasiva chiusura degli ambiti di possibilità che caratterizzerebbe la nostra epoca si avvarrebbe di strategie che il curatore, Federico Sollazzo, definisce tecniche di inquadramento. Simili tecniche sarebbero in grado di fermare, di cristallizzare e immobilizzare le nostre forme di vita, impedendoci nuovi attraversamenti. Il contributo di Sollazzo delinea questo quadro generale mettendo in comunicazione Pasolini, Marcuse e Heidegger, aggiungendo un dettaglio niente affatto insignificante: l'inquadramento, che provoca il registro emotivo di fine della storia e la chiusura del possibile, consta tra l'altro di (e allo stesso tempo porta a) un progressivo isolamento degli individui. Non più in comunicazione gli uni con gli altri, non più in grado di ricreare collettivamente prassi e significati, saremmo con ciò condannati al ruolo di ingranaggi. Di questo blocco complessivo, gli altri contributi della sezione provano principalmente ad analizzare dei casi. Li riporto stenograficamente, per dare corpo all'ipotesi del volume:

 

  1. Filosofia e arte -  Che la pratica filosofica condivida, in senso niente affatto romantico, importanti caratteristiche con quella artistica, non è una notazione recente. Luca Baldassarre mette l'accento sul potenziale trasformativo dell'una e dell'altra, potenziale che sarebbe loro intrinseco ma che verrebbe inibito dalle oramai diffusissime pratiche di esposizione e musealizzazione (dell'opera, della parola). Mentre aumentano il proprio "valore di esposizione", il gesto e l'eloquio eversivo perdono irrimediabilmente le loro aure. Parola e opera, immobilizzate dalla loro stessa esposizione e trattate come "sfondo", non risultano più in grado a dare espressione al desiderio di trasformazione dell'esistente.
  2. Lingua - La lingua che parliamo è ciò attraverso cui pensiamo, immaginiamo azioni diverse, ci apriamo al nuovo. Moira De Iaco batte perciò qui su un punto solo: le pratiche di controllo linguistico e l'imposizione di grammatiche normative portano a un depauperamento linguistico e quindi a una chiusura del possibile. Anziché mantenere il suo potenziale creativo e trasformativo, la lingua subisce un ripiegamento su se stessa sul modello della neolingua orwelliana.
  3. Filosofia - Nel sue note su società e individuo in Horkheimer e Adorno, Valeria Ferraretto è come se riprendesse l'analisi già sviluppata da Luca Baldassarre circa l'arte, per approfondirla in un senso preciso: il ruolo sempre più ornamentale della filosofia, di cui sarebbe necessario riscoprire il potenziale utile alla liberazione dell'azione. Gli uomini-automi odierni potrebbero così riuscire a trarsi d'impaccio, cessando con ciò di esercitare una libertà ormai simile, kantianamente, a quella di un girarrosto.
  4. Scienza - Anche la pratica scientifica subirebbe un inquadramento disdicevole, nei termini di una cristallizzazione ideologica. La scienza, in questo contributo di Francesco Giacomantonio il cui interlocutore è Habermas, diviene una fede. La filosofia potrebbe salvarla, se solo si riuscisse a farla assurgere al rango di coscienza delle scienze.
  5. Letteratura - Anche la letteratura, la narrativa, la produzione di romanzi, testimonia dell'inibizione della odierna capacità immaginativa. Ma Stefano Scrima ci invita a riscoprire il valore trasformativo della scrittura, e ci parla della necessità di sottrarre la pratica letteraria alle tecniche di inquadramento. 

 

Conclusioni e rilancio critico

 

Il volume, nel suo complesso, coglie alcuni buoni punti, specie per quel che riguarda i processi di musealizzazione; l'analisi teorica si lega bene alla disamina dei casi studio, fungendo da lente e filo conduttore. Potremmo riassumere così il suo contenuto e le sue conclusioni: la Stimmung di fine della storia che oggi così voracemente divora le nostre esistenze deriva dalla messa in opera di un articolato complesso di tecniche di inquadramento, le quali, immobilizzando i nostri gesti e le nostre parole attraverso continue prese in carico normative (imposizione, musealizzazione, esposizione), innescano processi di feticizzazione del mondo e quindi di alienazione personale. Il mondo non è nostro, non è lì per noi, lì per essere modificato e vissuto da noi; siamo noi, piuttosto, ad essere lì per lui, ad essere le sue risorse, ad essere usati da lui.

Vorrei però aggiungere un rilievo critico, di cui sarebbe certamente necessario discutere meglio. Ritengo che il tentativo degli autori corra il rischio di rimanere monco qualora non si facessero i conti anche con un altro fenomeno: nel mondo odierno la Stimmung di fine della storia si accompagna, sorprendentemente, a una esplosione senza precedenti della dimensione del possibile, oltre che, e forse ben più che, a una serrata chiusura del poter-fare-altrimenti (per imposizione e musealizzazione). La paralisi dell'agire pare oggi constare essenzialmente di un troppo di possibilità e un troppo di stimolazione (Virno 1999): avere centinaia di canali tivù, ma nulla da vedere; poter andare in decine di locali, ma rimanere in casa o tornare nel solito; avere a disposizione moltissimi giornali e pagine online di notizie aggiornate, ma guardare il solito Tg (o neanche quello). Potere insomma fare mille cose, ma non farne nessuna o farne sempre una sola, perché l'ipertrofia del possibile porta con sé una tonalità estremamente perturbante da cui urge proteggersi, che occorre gestire.

Mi pare, pertanto, che quelle che Sollazzo chiama tecniche di inquadramento oggi si accompagnino largamente a, e siano forse sopravanzate da, tecniche di gestione molto più lasche e assai più pervasive. Più lasche, perché sono tendenzialmente non impositive; più pervasive, perché fanno perno non tanto sui gusti e il carattere di determinate forme di vita, ma sulla vita del sapiens in quanto tale, sulla sua problematicità e ambivalenza (Mazzeo 2009; De Carolis 2017). Tecniche di inquadramento e dispositivi di governance invocano un'analisi che sia in grado di capirne l'intreccio. La storia non è finita.    

 

Marco Valisano

 

Federico Sollazzo (a cura di) (2018) Transizioni. Filosofia e cambiamento. In movimento con Heidegger, Adorno, Horkheimer, Marcuse, Habermas, Wittgenstein, Gramsci, Pasolini, Camus. GoWare, pp. 159.

 

Bibliografia e riferimenti

Pubblicato Wednesday 16 January 2019

Modificato Friday 3 May 2019


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.




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