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Questo libro è ormai un classico della manualistica per quel che riguarda storia e teoria delle istituzioni. Qui, infatti, Norberto Bobbio tenta di offrire un'immagine a tutto tondo dei dibattiti che si sono svolti (e ancora si svolgono) attorno ad alcuni concetti chiave del nostro lessico politico: stato, governo e società, certamente; ma anche democrazia, dittatura, obbedienza, stato di natura. La ricognizione teorica che la pubblicazione di queste righe ci offre, perciò, consente di fare i conti con un intero stato dell'arte. Soprattutto, ci consente di fare i conti con una certa teoria del potere

 

Quattro voci "da manuale"

 

Questo libro raccoglie quattro voci che Bobbio ha scritto tra il 1978 e il 1981 per l'Enciclopedia Einaudi

 

  1. Democrazia/dittatura;
  2. Pubblico/privato;
  3. Società civile;
  4. Stato.

 

Per ognuna di queste voci l'autore cerca di fornire un ampio panorama di prese di posizione all'interno del pensiero politico di ogni tempo, dalla Grecia antica ai giorni nostri. Da qua, dunque, i riferimenti classici alla magistratura romana della dittatura, al Leviatano hobbesiano, alla concezione hegeliana dello Stato, alle sfere del pubblico e del privato come ambiti dicotomici, al Principe "statale" di Machiavelli. Me la sbrigo in breve, perché il succo più interessante del volume non sta nella resa delle singole teorie politiche, come potrebbe credere chi lo sfogli in vista di un esame, o per conoscere il "già detto" in materia. L'operazione di sintesi che Bobbio svolge, infatti, non è neutrale, e tradisce la sua particolare presa di posizione su due faccende interrelate e niente affatto marginali: la natura del potere e la struttura della soggettività (e dunque della libertà). Vorrei perciò andare subito dritto al sodo, invitando a utilizzare le mie parole come chiavi generali di lettura del volume.  

 

Tre teorie del potere

 

Alle pagine 66-68 Bobbio opera una rapida sintesi di quelle che chiama «tre fondamentali teorie del potere», ovvero la sostanzialistica, la soggettivistica e la relazionale: nella prima teoria vi sono soggetti potenti perché possiedono giuridicamente quella cosa chiamata "potere", e sono perciò capaci di obbligare altri soggetti; nella seconda abbiamo soggetti che possono influenzare la condotta altrui attraverso l'esercizio di una loro dote, una capacità, così come il fuoco ha il potere di scaldare; nella terza, infine, l'accento viene posto sul carattere relazionale del potere, sul suo frammentarsi in mille rapporti e circostanze nelle quali un soggetto può obbligarne un altro. Infine, l'autore chiosa con queste parole, riferendosi a quest'ultima concezione del potere ma, a guardare bene, comprendendole tutte: «In quanto relazione fra due soggetti il potere [...] è strettamente connesso al concetto di libertà, sì che i due concetti possono essere definiti uno mediante la negazione dell'altro in questo modo: "Il potere di A implica la non-libertà di B"; "La libertà di A implica il non-potere di B"» (p. 68).

 

Presupposizione del soggetto...

 

A dispetto delle differenze, ciò che accomuna tutte e tre queste concezioni del potere (almeno nella sintesi che Bobbio ce ne consegna) è la costante presupposizione di un soggetto, di una soggettività che possiederebbe o eserciterebbe un potere limitante o benefico verso qualcun altro. Che lo possa giuridicamente, per propria capacità o per circostanza favorevole non modifica in niente la natura del soggetto di cui si sta parlando, né di quello che subisce il suo potere. Una simile presupposizione del soggetto ai rapporti di potere è giustificabile, però, solo nell'ottica in cui si sia capaci di dire cosa sia un soggetto prima ancora che dei dispositivi di potere ne prendano in carico il corpo. Si tratta di una via difficilmente precorribile. Infatti, a meno che non si voglia parlare di un'anima individuale già da sempre esistente (la quale si rapporta con le altre anime esercitando il proprio potere o subendo quello altrui), prima di qualsivoglia presa in carico del corpo da una rete di potere non esiste ancora un soggetto, ma soltanto una vita genericamente umana e non ancora qualificata. Una zoê, insomma, e non un bíos (cfr. Agamben 1995). Forse non conviene, perciò, staccare l'indagine sulla natura del potere da quella relativa alla struttura della soggettività (Foucault [1975] 1993; 2003).

 

...e presupposizione del sovrano

 

Al fine di mettere in piedi questa nuova strutturazione del problema è però necessario ribaltare l'intero piano su cui Bobbio ha costruito il libro (che quando uscì nel 1985 recava addirittura il maestoso sottotitolo Per una teoria generale della politica). L'autore considera il potere esclusivamente come un qualcosa che i governanti esercitano sui governati, e dunque come un fenomeno che trova la propria incarnazione terrena nella legge. Questo quadro gli impedisce di  pensare un potere che, non presupponendo un soggetto, possa anche riuscire a non presupporre necessariamente un apparato statale al quale ne sarebbe delegato l'esercizio esclusivo. Per questo Bobbio ritiene che la filosofia politica si occupi essenzialmente delle forme statali di governo (cfr. anche Petrucciani 2003), e per questo può scrivere: «Tutta la storia del pensiero politico può essere considerata come una lunga ininterrotta appassionata discussione intorno ai vari modi di limitare il potere» (intendendo, ovviamente, il potere dei governanti sui governati; p. 137). Lo scopo del pensiero politico (e dell'azione politica)? Bobbio risponde: cercare sistemi per limitare il potere di un sovrano. La filosofia è dall'autore relegata sulla difensiva, intenta com'è a parare i colpi di questo imperatore e legislatore onnipotente.

 

Il soggetto come risultante di rapporti di potere: il concetto di  istituzione

 

Per riuscire a impostare diversamente il discorso, è necessario cercare di pensare la dimensione soggettivante dei dispositivi di potere, e non tanto i vari tipi di potere esercitati dai soggetti. Bobbio non ne fa cenno alcuno, ma vi è un'importante tradizione filosifica (assolutamente non unitaria, ma che su questo punto converge) che ha provato a pensare al potere non nella forma della coercizione mera e semplice, e che ha invece indagato il ruolo che esso svolge nei processi di soggettivazione. Il termine che qui la fa da padrone non è più, come in Bobbio, quello di "legge" (intesa come potere coattivo di un soggetto che consente e/o impone azioni a un altro soggetto), bensì quello di "istituzione".(cfr. Fadini 2016; Gehlen [1940] 2010, [1956] 2016; Deleuze [1955] 2014, specialemente l'introduzione). L'istituzione va considerata nella sua forma più larga possibile, come un qualsivoglia modo "istituito" di fare qualcosa, come una rete di modalità di azione che preesistono alla venuta in essere di un individuo particolare e che questi apprende e incorpora: si cammina così, si mangia così, si piange o non si piange così, dopo pranzo si beve il caffé, e così via (de Martino [1958] 2000, [1977] 2002). Le differenze sostanziali tra questa messa a tema e quelle che, invece, Bobbio sintetizza, sono almeno tre:

 

  1. mentre la legge condensa in sé un potere limitante, che consente o impedisce a un soggetto una certa azione che questi di per sé vuole compiere, l'istituzione non impedisce né consente, ma fomenta l'azione, dando una forma al nostro fondamentale spaesamento (che ha delle basi fisiologiche; cfr. Bolk [1926] 2006; Uexküll [1934] 2013);
  2. mentre la legge è emanata da un soggetto giuridico (o da un qualsivoglia soggetto in grado, in una data circostanza, di "dettare legge"), l'istituzione è in tutto e per tutto pre-individuale (Simondon [1989] 2001);
  3. mentre la legge prevede un esercizio del potere da un alto verso un basso, l'istituzione ha una forma anzitutto intersoggettiva; prende corpo attraverso le relazioni spontanee che hanno luogo all'interno dei gruppi umani, le quali cambiano plasticamente secondo l'uso che se ne fa (alla stregua di una lingua storico-naturale; cfr. Virno 2003; Lo Piparo 2014).

 

Per una filosofia politica d'attacco

 

Come ben si vede, nella cornice teorica qui sopra esposta è impossibile separare (come invece Bobbio fa) l'analisi delle relazioni di potere dall'indagine sulla struttura della soggettività, che viene letta come incorporazione e continua rimodulazione delle istituzioni. Si tratta di un taglio speculativo che consente di porre il problema del potere in tutt'altro modo: per quali motivi istituzioni utili all'esistenza degli umani si sono a un certo punto tramutati in un monopolio della decisione politica da parte di un Leviatano statale (Virno 2010)? È possibile pensare istituzioni che, anziché fomentare la gerarchizzazione dei rapporti umani, riescano a connettere la libertà dei soggetti con la loro partecipazione politica (cfr. anche Canfora 2004)? Si tratta di domande che, cercando di pensare una rimodulazione del rapporto tra soggettività e potere, consentono di impostare una filosofia d'attacco (Ciccarelli 2017). Bobbio, all'opposto, pensando un soggetto già da sempre dato e il potere come esercizio di dominio, sembra giocare solo di rimessa.

 

Marco Valisano

 

Bobbio, Norberto [1985] (1995) Stato, governo, società. Frammenti di dun dizionario politico. Torino: Einaudi, pp. 165.

 

Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura

Pubblicato Monday 12 February 2018

Modificato Wednesday 8 January 2020


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.




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