Il populismo
Il dibattito accademico è da anni impegnato in un confronto di ampio respiro sul tema del “populismo”. Già nel 1969 Ghita Ionescu e Ernest Gellner, in riferimento al termine, scrivevano “a spectre is haunting the world”. Uno spettro a volte difficile da riconoscere, che ha ripreso forma e vita con sempre maggiore intensità nell’ultimo ventennio di ricerca accademica. Un ventennio segnato dall’emersione di nuovi soggetti politici ai quali è stato spesso attribuito il termine di “forza populista”. Dopo la pubblicazione di The Populist Zeitgeist di Cas Mudde, il termine ha convintamente sfondato le mura non sempre fragili del dibattito accademico finendo per riempire pagine di giornali, trasmissioni radio e talk-show televisivi. Termine divenuto esso stesso arma retorica del dibattito politico tra chi lancia l'anatema populista con intenzioni denigratorie e chi invece persino ne rivendica lo status.
Un'idea scivolosa
Attitudine politica? Movimento politico? Forma dipolitical practice? Movimento pre-politico? L’impressione è che la scivolosità del termine, «un significante dai troppi significati» (Revelli 2019, p. 6), abbia portato più confusione che ordine nel tentativo di trovare un grimaldello euristico che potesse essere utile per comprendere le realtà emergenti della politica contemporanea. Esito già annunciato dal profetico “complesso di Cenerentola” di Isaiah Berlin nel lontano 1968.
La versione di Zanatta
Dei tanti lavori sul tema ve n'è uno di particolare rilievo che ambisce, a differenza di altri, a scovare “l’essenza profonda” del termine, inserendolo nelle sue diverse cornici storiche di riferimento. In questo libro, Loris Zanatta, professore di Storia dell’America Latina presso l'Università degli Studi di Bologna, affronta il tema a partire dai diversi contesti politici nei quali sono emerse forze denominate appunto “populiste”. Per l'autore il populismo «non è un semplice fenomeno che può o meno piacere a dispetto delle personali opinioni, ma qualcosa di più solido e strutturato, che ci porta lontano nel tempo, ai più remoti fondamenti degli ordini politici e sociali moderni». Il Populismo «possiede caratteri ricorrenti nel tempo e nello spazio che ne fanno qualcosa di molto simile a un'ideologia, ovvero ad una visione tanto vaga quanto radicata: anzi, tanto più radicata proprio perché vaga e spesso inconscia nella mentalità delle masse assai estese».
Il popolo come comunità organica e monolitica
L’autore nota come il termine sia finito per indicare una serie di esperienze politiche assai differenti tra loro in contesti istituzionali del tutto differenti: dai regimi totalitari del Novecento ad alcune espressioni del mondo islamico contemporaneo, dalle democrazie europee alle dittature militari sudamericane. Il tutto è tenuto insieme dall'idea di “popolo”, declinata di volta in volta in forme sempre diverse. Il popolo “onesto” dei grillini, quello “forte e virile” dei padani, quello “dignitoso” di Chavez, quello “buono e felice” di Peròn. Un’idea di popolo da cui trae forza e vigore la stessa richiesta di consenso. Un Popolo inteso come un monolite, evocato o da evocare, inscritto in una visione essenzialista del reale. Il popolo del populismo è così «una comunità organica la cui vita riflette un ordine naturale» che rifiuta l’interpretazione contrattualistica, volontaristica e costruttivista della società. L’idea di “comunità” richiamata dai movimenti populisti «non è una mera costruzione astratta, bensì una ricorrente riformulazione di un immaginario sociale antico, sempre latente nelle società moderne sempre pronto ad essere richiamato in vita.»
Populismo tra religione e natura
Questo ritorno a un'unità naturale e olistica rappresenta uno dei tratti più ambiziosi della lettura di Zanatta, che attraverso questo elemento mira ad evidenziare le analogie che questi movimenti hanno con la religione. Al ritorno all'uno fa da contraltare la presenza caratterizzante di un leader unico e carismatico che "rassomiglia" al popolo e che, a sua immagine e somiglianza, porta avanti la battaglia della sua comunità. E questo intreccio ha un afflato innegabilmente religioso. «Nella loro visione manichea del mondo i populismi insistono su una sorta di fondamentalismo morale che consente loro di alzare un muro tra le virtù del popolo e i vizi dei suoi nemici». Su questo piano la partita dei populismi diventa una lotta nell’immaginario. Una volta derubricata l’idea che la comunità politica si fondi su un patto razionale tra cittadini, i populismi fanno derivare quest’ultima direttamente dalla loro visione essenzialista del passato, dal corso naturale degli eventi che cristallizza una comunità politica. Questa considerazione potrebbe spiegarci agilmente le ragioni per cui ritroviamo il nativismo come uno dei tratti caratterizzanti di tanti movimenti populisti contemporanei.
In questa prospettiva, il populismo diventa «il vettore mediante il quale l’immaginario religioso tradizionale viene secolarizzato e trasposto sul terreno moderno della comunità politica». Una sorta di religione secolare, politica, con il suo “verbo”, il suo “profeta”, i suoi “culti” e le sue “liturgie”.
Una antitesi? Populismo e democrazia
Quella di Zanatta è una lettura trasversale del populismo nelle sue diverse versioni e dimensioni storiche. Un fenomeno universale che rovista nel passato alla ricerca di un immaginario monista ed esclusivista di cui proclamarsi erede. Un fenomeno sempre presente in potenza ma che emerge come atto in base ad una vasta gamma di circostanze ad esso favorevole, come le crisi sistemiche, economiche, rappresentative, culturali. Un fenomeno che oggi si trova a convivere con le regole della democrazia liberale che lo hanno condotto a calmierare le sue pretese unilaterali. Una convivenza scomoda, quella di oggi, tra la pluralità delle democrazie liberali e le pretese onnicomprensive di chi, in nome del popolo, rifiuta «la fisiologica manifestazione della molteplicità di interessi o passioni». Ciò che è plurale mina alla base «la naturale armonia del corpo sociale ed attenta alla sua identità morale».
Zanatta, Loris (2013) Il populismo. Roma: Carocci, pp. 168.
Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura
- Berlin, Isaiah (1968) To define Populism. In «Government and Opposition», 3, n. 2, pp. 137-179.
- Ionescu, Ghita; Gellner, Ernest (1969) Populism: its meaning and National Characteristics. London: Weidenfield & Nicolson.
- Revelli, Marco (2019) La politica senza la politica. Torino: Einaudi.
- Schmitt, Carl [1968] (1972) Le categorie del "politico". Saggi di teoria politica. Bologna: Il Mulino.
- Virno, Paolo (2001) Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee. Roma: DeriveApprodi.
- Zanatta, Loris (2017) Il populismo in America Latina e l'ossessione della cristianità perduta. In «Quaderni di diritto e politica ecclesiastica», n. 2, pp. 299-312.
Pubblicato Tuesday 12 May 2020
Modificato Saturday 16 May 2020