Gratitudine
Si dice spesso che l'unica cosa certa, nella vita, è la morte. Meno frequente, ma altrettanto sensata, è la constatazione che per morire bisogna pur nascere. Il margine d'azione dell'esistenza umana si situa tra queste sponde apparentemente opposte, lasciandoci solo decidere come condurre la vita e come affrontare la morte. Oramai prossimo all'incontro con la seconda, Oliver Sacks ha voluto provare a raccontarci la sua esperienza. Vediamo se possiamo, da questa, imparare qualcosa.
Un libro per chiudere con la vita
Il libro si compone di quattro piccoli testi, scritti in momenti diversi tra gli ottanta e gli ottantadue anni dell'autore. Sacks soffriva già da tempo, dal 2005, di un raro melanoma a un occhio. Se il primo testo, Mercurio, è stato scritto in un momento in cui l'autore poteva ancora pensare che il momento della morte fosse non proprio dietro l'angolo, la stesura di tutti gli altri (La mia vita, La mia tavola periodica e Shabbat) è invece successiva alla catastrofica diagnosi degli inizi del 2015: il melanoma aveva metastizzato nel fegato. Con una prospettiva di vita di sei mesi e senza significative opzioni terapeutiche, Sacks inizia a sottoporsi a una cura che gli regala dapprima una sensazione di salute. Una sensazione breve ed effimera: il 30 agosto dello stesso anno l'autore morirà a New York, ma non prima di aver scritto gli ultimi tre testi che compongono il libro. Una sorta di resa dei conti con se stesso. «Adesso mi trovo faccia a faccia con la morte», scrive, «ma non ho ancora chiuso con la vita».
Il sentimento in primo piano: la gratitudine
La parola che sancisce il modo in cui Sacks affronta la sua resa dei conti è scandita già nel titolo: gratitudine. Sacks si dice pervaso da un sentimento di grande riconoscenza tanto nei confronti delle persone che lo hanno amato che nei confronti della vita in se stessa, nei confronti di tutto quello che l'essere un uomo gli ha consentito di godere.
Non posso fingere di non aver paura. A dominare, però, è un sentimento di gratitudine. Ho amato e sono stato amato; ho ricevuto molto, e ho dato qualcosa in cambio; ho letto e viaggiato e pensato e scritto. Ho avuto un contatto con il mondo, di quel tipo particolare che ha luogo tra scrittori e lettori. Più di tutto, sono stato un essere senziente, un animale pensante, su questo pianeta bellissimo, il che ha rappresentato di per sé un immenso privilegio e una grandissima avventura.
Gli errori della gratitudine
Ma esaurire il portato del libro in questo singolo registro emotivo sarebbe un duplice errore. Da un lato, di prospettiva: nonostante Sacks ribadisca più volte il suo sentirsi grato, il volume è per lo più composto da riflessioni che, sotto l'apparente serenità di una scrittura piana e soppesata, tradiscono sentimenti ambivalenti e qualche rimpianto malcelato; dall'altro, diciamo di utilizzo: leggere queste righe concentrandosi solo sulla gratitudine potrebbe portare a interpretare ogni istante della propria vita come un dono, macchiando così di un moraleggiante giudizio di ingratitudine qualsiasi lamentela. Qualcosa che assomiglia insomma troppo da vicino alla doverosità di glorificare Dio, ringraziandolo anche per le disgrazie. In Ricomincio da tre, il prete dice a Gaetano (Massimo Troisi) che la perdita della mano toccata in sorte a suo padre è un dono di Dio, e che bisogna pregare l'onnipotente: «No no», risponde Gaetano, «sia mai che poi mi faccia un regalo pure a me». No: per capire la vita di Sacks, e magari impararne qualcosa, non è sulla gratitudine che dobbiamo puntare.
La vita di Oliver Sacks
Il disprezzo dei genitori e la dipendenza dalle anfetamine
Sacks è stato un uomo forte, che ha affrontato la vita con scorza, acutezza e sensibilità. Di famiglia ebrea, ha dovuto sopportare il disprezzo dei genitori, specialmente della madre, per la sua omosessualità («Sei abominevole. Vorrei che non fossi mai nato», dice ques'ultima al figlio). Traferitosi, dopo la laurea, negli USA, dice di soffrire l'assenza di «legami più profondi» di quelli che aveva con i compagni di internato in neurologia. Viene da questa assenza attirato , negli anni Sessanta, «in una dipendenza quasi suicida dalle anfetamine».
Il lavoro per gli emarginati
Fu l'innamoramento verso il suo lavoro, in particolare verso i suoi pazienti, a consentirgli una ripresa di quota. Di un ospedale per lungodegenti nel Bronx in cui aveva trovato lavoro scrive:
Là rimasi affascinato dai miei pazienti, sviluppai per loro un interesse profondo e sentii che raccontare le loro storie [...] era una sorta di missione. Avevo scoperto la mia vocazione, e la seguii tenacemente, con determinazione, ricevendo ben pochi incoraggiamenti da parte dei miei colleghi.
Ma questa vocazione scoperta non porterà le difficoltà a sparire, anzi. Sacks non farà altro, per anni, che confrontarsi con una delle più delicate questioni della medicina: la distinzione tra normale e patologico. Raccontare le storie degli emarginati e dei malati, capirne le istanze, svelare quali conseguenze sociali procedono da una classificazione medica (e, come ammette nelle righe poco sopra citate, «ricevendo ben pochi incoraggiamenti» da parte dei colleghi). È così che sono nati alcuni testi che hanno fatto scuola, come Vedere voci. Un viaggio nel mondo dei sordi.
Alla fine: e se fosse andata diversamente?
È una vita, quella di Sacks, costellata di asprezze, alle quali torna con la memoria dettagliando l'atmosfera di pace che ha potuto respirare durante uno Shabbat in famiglia, quasi alla fine della sua esistenza (non ne festeggiava uno da decenni):
La pace dello Shabbat, di un mondo che si ferma, di un tempo fuori dal tempo, era palpabile, pervadeva ogni cosa, e mi ritrovai impregnato di un umore meditabondo, qualcosa di simile alla nostalgia, mentre mi chiedevo come sarebbe stato se... come sarebbe stato se A e B e C fossero andati in modo diverso? Che tipo di persona avrei potuto essere? Che genere di vita avrei potuto vivere?
Sotto la gratitudine: attrito, rimpianto, ambivalenza
Sotto il velo della gratitudine stanno dunque ben altri registri emotivi: disperazione e angoscia per una vita che non prende quota, rabbia per la condizione degli emarginati, ambivalenza e rimpianto nei confronti dei propri rapporti familiari. Sono questi i sentimenti che hanno scandito la vita di Sacks, e sono questi che l'hanno resa così intensa, vissuta, bella, tanto da renderlo grato (sarebbe probabilmente meglio dire pieno). Questa prospettiva, che scalza la gratitudine dai sentimenti in primo piano per relegarla a conseguenza di ben altre e più promettenti passioni, consente a noi di imparare qualcosa dal racconto dell'autore. Potremmo cogliere l'occasione per realizzare che "la vita è bella" non se è pacificata (che è come dire "morta"), ma se fa attrito; che un'esistenza piena è alla portata di tutti perché sta in una attitudine audace nei confronti delle difficoltà, non in una serie di progetti portati effettivamente a compimento o aspettative soddisfatte; che è bene prendere atto quanto prima di tutto ciò, per non arrivare alla fine con gli occhi fissi sullo specchietto retrovisore, domandandosi cosa sarebbe stato di noi se solo avessimo tentato di fare quel che volevamo.
Non servi grati al padrone per l'occasione concessa, ma animali che strappano coi denti gli attimi irripetibili del tempo. Per farli propri.
Sacks, Oliver [2015] (2016) Gratitudine. Milano: Adelphi, pp. 57.
Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura
- Canguilhem, Georges [1966] (1998) Il normale e il patologico. Torino: Einaudi.
- Foucault, Michel [1963] (2014) Storia della follia nell'età classica. Milano: BUR.
- Mazzeo, Marco (2012) Melanconia e rivoluzione. Antropologia di una passion perduta. Ariccia (RM): Editori Internazionali Riuniti.
- Sacks, Oliver [1973] (2014) Risvegli. Milano: Adelphi.
- [1985] (2013) L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Milano: Adelphi.
- (1989) Vedere voci. Un viaggio nel mondo dei sordi. Milano: Adelphi.
- (2015) In movimento. Milano: Adelphi.
- Terzani, Tiziano (2006) La fine è il mio inizio. Milano: Longanesi.
Pubblicato Thursday 14 May 2020
Modificato Saturday 16 May 2020