Antropologia filosofica
Il titolo di questo libro e la sua ridotta mole rischiano d'ingannare, o per lo meno hanno ingannato me. Lo pensavo un libruccio riassuntivo, un accessibile bignamino. È invece composto da due scritti piuttosto ostici per chi si avvicinasse di bel nuovo a questi argomenti. Per chi avesse l'intenzione di approcciarsi all'antropologia filosofica, fosse in generale o del singolo Helmuth Plessner, non mi pare sia il primo libro su cui varrebbe la pena soffermarsi. Risulterebbe inevitabilmente oscuro. Per chi però avesse già un'idea delle tematiche, vi sono righe che possono riservare spunti interessanti.
Oggetto dell'antropologia filosofica: l'uomo nel mondo
Il primo scritto, Il compito dell'antropologia filosofica, è il testo della prolusione tenuta da Plessner il 30 gennaio 1936 all'Università di Gottinga. Sono pagine essenzialmente legittimanti, nelle quali Plessner si prova a mostrare tanto quale sia la specificità dell'antropologia filosofica in relazione agli altri ambiti disciplinari dell'epoca quanto perché ce ne sia bisogno. Due lavori cardine quali La posizione dell'uomo nel cosmo di Scheler e I gradi dell'organico e l'uomo dello stesso Plessner avevano già da qualche anno visto la luce, e il dibattito attorno alla legittimità dell'approccio dell'antropologia filosofica si era acceso. Questa prolusione trova in questo dibattito la propria ragion d'essere. Il problema fondamentale di questa disciplina nascente è anzitutto d'oggetto, in quanto esso «non è delimitato oggettivamente e secondo determinate categorie generali che dovrebbero essere elencate sin dall'inizio, ma è "l'uomo" "nel" mondo» (p. 49). In secondo luogo essa deve giocoforza, per poter indagare una simile questione, collocarsi al crocevia tra quelle che già tradizionalmente erano considerate le scienze dello spirito (le odierne scienze umane) e le scienze della natura.
Una posizione scomoda
Era una posizione scomoda, e a tutt'oggi purtroppo lo rimane. Scomoda ma necessaria, dice Plessner, anche perché «la classificabilità zoologica della specie Homo sapiens in base a caratteristiche distintive non depone in maniera assoluta a favore della sua esistenza; né tanto meno tale esistenza è messa decisamente in discussione dai contrasti tra le concezioni delle religioni, delle culture e dei popoli riguardo all'uomo» (p. 51). È dunque necessario conferire ad ogni aspetto che pretenda rappresentare l'essenza dell'umano (sia esso psichico, fisico, religioso, ecc.) «un uguale valore per la scoperta della piena essenza umana» (p. 53).
La polemica con Heidegger
È in quest'ottica che Plessner, nel secondo scritto contenuto nel volume e che risale al 1973, replica a Heidegger e alle sue critiche nei confronti dell'antropologia filosofica. Per l'autore di Essere e tempo, infatti, prioritaria rispetto alla domanda sull'ente (l'uomo concreto con il suo corpo) risulta la domanda sull'essere. Se si vuole, l'enfasi di Heidegger non sta sul cosa un uomo è, ma sul fatto che è un uomo e su questo essere si interroga. Plessner non può accettare questo piano della discussione proprio in virtù del privilegio non accordato a nessuna prospettiva particolare sull'uomo, e meno che mai a una che non tenga conto della sua corporeità. Non manca di acutezza quando ribalta la prospettiva heideggeriana: in luogo di domandarsi che cosa consenta la venuta in essere dell'ente a partire dall'essere, egli si chiede «cosa permette a un corpo vivente di far sì che vi sia un'esistenza? [...] Bisogna [...] azzardare la tesi: la vita contiene l'esistenza come una delle sue possibilità» (pp. 94-96).
Assenza di fondamento e fede nell'uomo
Il progetto era senz'altro fortemente innovativo, e lo è a tutt'oggi. Ma Plessner usa qualche enfasi di troppo, e traspare un senso di missione che appare mal riposto. Il suo tono viene giustificato dal ruolo che egli pensa debba ricoprire l'antropologia filosofica. Dopo la "morte di Dio" e di ogni suprema autorità, dopo la fine di ogni possibile concezione stabile dell'umano e del suo posto nel cosmo, l'antropologia filosofica deve presentarsi come scepsi radicale, come sua realizzazione e compimento (p. 57). L'assenza di fondamenta stabili, questa Unergründlichkeit (in genere resa con "insondabilità"), diviene così l'unico fondamento dell'umano; il suo essere costitutivamente aperto a infinite forme di esistenza rappresenta la sua risorsa più peculiare. Tutto bene, senonché Plessner scrive che questa prospettiva si rende necessaria per motivi che puzzano di provvidenzialismo: il vero fine dell'antropologia filosofica intesa come scepsi realizzata sarebbe infatti quello di «limitare il potere dell'uomo ampliando al massimo la consapevolezza della sua insondabilità e incertezza riguardo all'origine del suo futuro, per fare di nuovo spazio alla fede nell'uomo» (p. 76).
Dispotico Leviatano o felice comune anarchica?
Plessner, che pure aveva dovuto già nel 1932 abbandonare la Germania in ragione delle proprie origini ebraiche, sembra qui gettar la polvere sotto il tappeto. Ed è cosa strana, da parte dello stesso autore di I limiti della comunità e Potere e natura umana. (Plessner [1925] 2001, [1931] 2006). Dov'è finito, adesso, il polemos? L'infondatezza dell'umano va infatti di pari passo con la sua costitutiva e conflittuale instabilità, la quale deve venire gestita da forme di esistenza concrete, storiche; e insomma, da istituzioni più o meno flessibili che se ne facciano carico. Nella infondatezza in sé e per sé non sta perciò niente di rassicurante, ma vi si annida una potenza. La sua attuazione è posta in palio dell'esistere, e in nessun caso elemento marginale dell'umano. È necessario dar forma alla potenza, e questa operazione può risultare estremamente conflittuale. Questo non significa che sia opportuno auspicarsi il monopolio del potere politico nella forma di uno stato centrale, il quale, solo, si dovrebbe occupare dell'attualizzazione di questa potenza. Ma non fa meraviglia che un altro eminente rappresentante dell'antropologia filosofica, Arnold Gehlen, sia arrivato invece a conclusioni del genere proprio partendo da presupposti simili a Plessner: infondatezza, apertura, disinibizione (Gehlen [1940] 2010). Le conclusioni speranzose di Plessner rischiano perciò d'essere quanto mai vaporose.
Tertium datur: per un'attiva socievole insocievolezza
Per uscire dall'alternativa tra fede nell'uomo (assai mal riposta) e sua spoliticizzazione attraverso il governo dello stato centrale (assai inquietante), è necessario seguire una via diversa: rivendicare la pericolosa instabilità dell'animale umano per arrivare a sostenere, proprio perciò, l'indeguatezza di ogni modello politico volto alla spoliticizzazione della comunità (cfr. Virno 2010). L'infanzia cronica (Bolk [1926] 2006) e la neotenia (Mazzeo 2003) che caratterizzano la nostra specie non richiedono, in quest'ottica, la perenne presenza di un educatore (alla Gehlen), ma la libertà di sperimentare nuove forme di esistenza e di cooperazione, nuove istituzioni. L'infante che eravamo e che sempre saremo ha da entrare nelle cronache mondane, senza grazia e senza compromessi.
Plessner, Helmuth (2010) Antropologia filosofica. A cura di Oreste Tolone. Brescia: Morcelliana, pp. 168.
Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura
- Agamben, Giorgio (2002) L'aperto. L'uomo e l'animale. Torino: Bollati Boringhieri.
- Bolk, Louis [1926] (2006) Il problema dell'ominazione. A cura di Rossella Bonito Oliva. Roma: DeriveApprodi.
- De Carolis, Massimo (2008) Il paradosso antropologico. Nicchie, micromondi e dissociazione psichica. Macerata: Quodlibet.
- Gehlen, Arnold [1940] (2010) L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo. A cura di Vallori Rasini. Milano; Udine: Mimesis.
- Mazzeo, Marco (2003) Tatto e linguaggio. Il corpo delle parole. Roma: Editori Riuniti.
- Plessner, Helmuth [1924] (2001) I limiti della comunità. Per una critica del radicalismo sociale. A cura di Bruno Accarino. Roma; Bari: Laterza.
- [1931] (2006) Potere e natura umana. Per un'antropologia della visione storica del mondo. A cura di Bruno Accarino. Roma: Manifestolibri.
- Rasini, Vallori (2010) Perché un'antropologia filosofica: le ragioni di Helmuth Plessner. In «Etica & Politica», XII, 2, pp. 164-177.
- Virno, Paolo (2010) Il cosiddetto "male" e la critica dello stato. In Id., E così via, all'infinito. Logica e antropologia. Torino: Bollati Boringhieri, pp. 149-194
Pubblicato Friday 21 October 2016
Modificato Saturday 25 January 2020