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Marinaleda è un piccolo villaggio incastonato nel cuore dell'Andalusia, un comune pueblo di casette bianche, gente rilassata e tapas economiche. Ciò che però distingue questo piccolo agglomerato è una storia assai peculiare, fatta di lotte politiche e parole d'ordine che mantengono sotto ogni rispetto la loro attualità e che possono, perciò, tornare utili per una analisi del tempo presente: appropriazione, partecipazione, redistribuzione. In questo libro Dan Hancox, giornalista del The Guardian, ci restituisce il racconto di quelle battaglie e cerca di comprendere, al contempo, cosa esse possano lasciare in eredità anche a chi non le ha vissute.

 

Antefatto

 

Dopo la morte di Francisco Franco nel 1975, la Spagna si avvia a vivere un delicato periodo di transizione verso la democrazia parlamentare. Molti sono i problemi economici e politici che il regime ha lasciato irrisolti sul tappeto, tra cui quello che qui ci interessa: la condizione di povertà dei contadini andalusi. I campesinos continuano infatti, come da ben prima della Guerra Civile, a lavorare a giornata prestando servizio presso le terre di alcuni grandi proprietari. I periodi di disoccupazione sono molto lunghi, e il lavoro malcerto porta con sé una altrettanto malcerta sussistenza.

 

Occupazione ed espropriazione

 

È in questo quadro che Marinaleda irrompe con le proprie rivendicazioni. Capeggiati dalla figura di Juan Manuel Sanchez Gordillo, gli abitanti portano avanti anni di lotte e occupazioni di terre al fine di appropriarsi di un appezzamento che possa diventare proprietà collettiva del paese. Hancox prova a restituirci l'intensità e la conflittualità di quegli anni faticosi, anni durante i quali la gente del pueblo fa mostra di una coscienza e di una tenacia davvero inusuali. Passa infatti molto tempo prima che l'obiettivo dell'appropriazione di terra venga raggiunto. Siamo oramai al 1991 quando la giunta andalusa di Siviglia, preoccupata per i disordini che sarebbero potuti scoppiare in occasione dell'Expo previsto in città per il 1992, decide di cedere. Risarcendo discretamente il vecchio proprietario, il Duca del Infantado, la giunta dona a Marinaleda 1.200 ettari di terra: la finca di El Humoso, a circa nove km dal villaggio.

 

Partecipazione e redistribuzione

 

La finca viene da allora gestita da una cooperativa della quale fa parte una buona fetta della popolazione di Marinaleda. Nel campo si coltivano una varietà di prodotti che poi vengono lavorati nella vicina fabbrica, sempre di proprietà della cooperativa, per essere smerciati. La ricchezza così ottenuta dallo sfruttamento di quanto espropriato viene redistribuita in maniera equa: chi lavora le sue otto ore nella fabbrica percepisce lo stesso stipendio di chi lavora le sue circa sei ore e mezza nel campo; lo stipendio dei membri della giunta viene decurtato di modo che tutti, sindaco compreso – che continua a essere Sanchez Gordillo, puntualmente rieletto da 40 anni –, non prendano più di un comune lavoratore. La ricchezza viene redistribuita anche in altro modo. Marinaleda è un villaggio che gode di una quantità di servizi decisamente superiore rispetto agli altri pueblos andalusi: c'è un grande parco vicino all'Ayuntamento, una Casa della Cultura, una piscina pubblica, una scuola primaria e una secondaria. Sono state costruite, grazie alla collaborazione con la giunta andalusa, una serie di abitazioni per consentire a nuovi lavoratori di insediarsi nel pueblo e che a Marinaleda chiamano casitas. Coloro che vi si sono insediati contribuiscono al lavoro o nel campo o in fabbrica, e con l'equivalente di circa 15 euro al mese hanno un tetto garantito. L'abitazione così pagata diventa, infine, di proprietà del lavoratore, ma con una clausola: non si può vendere, solo lasciare in eredità. Il principio è infatti che la casa sia anzitutto un diritto, e non merce di scambio o fonte di rendita.

 

Mito e storia

 

Marinaleda ha vinto le sue battaglie e si staglia, piccolo pueblo socialista, come un'oasi nel bel mezzo dell'Europa liberista. Ora, intendiamoci, ciò che è successo a Marinaleda è storia e non leggenda. Ma se ci fermiamo a quanto detto, ciò che è accaduto rischia di prendere le sembianze del mito. E bisogna evitare, sempre, di creare miti e leggende. Per noi anzitutto, per non averne bisogno; per i fenomeni storici presi ad oggetto, che non meritano di fare la fine del santino o, peggio, del villaggio Potëmkin. È invece questo il rischio che corre Marinaleda in questo libro. Sebbene Hancox cerchi di mantenere vivo l'occhio critico, sembra a più riprese troppo entusiasta per poter davvero soppesare gli elementi del fenomeno che studia. Manca, inoltre, di uno sguardo teorico sufficiente per vedere cosa Marinaleda ci lascia in eredità, se qualcosa ci lascia. Il giornalista del The Guardian ha scritto un buon libro che non va stroncato, ma va integrato. È dunque ora di operare, a tal fine, la critica, secondo tre punti ognuno dei quali meriterebbe un lavoro a parte e che qui mi limito ad accennare:

 

  1. condizioni attuali del pueblo;
  2. principi della lotta e loro possibile attualità;
  3. inserimento del modello "Marinaleda" all'interno del contesto statale.

 

Attualità

 

La cooperativa, sebbene sempre in vita, è meno sana che anni fa. La crisi economica che è scoppiata nel 2008 ha ristretto il mercato per i prodotti lavorati e, al contempo, i sussidi per l'agricoltura che vengono stanziati dalla giunta andalusa sono assai diminuiti. È vero che è sufficiente farsi un giro nel pueblo, in cui ho brevemente sostato nell'estate del 2019, per rendersi conto che il tenore di vita della popolazione non ne ha per il momento affatto risentito; è anche vero che questo si deve probabilmente alla ricchezza accumulata, nonché al fatto che la cooperativa non è certo l'unica occasione di lavoro e di guadagno del paese. Ci sono svariate attività commerciali, soprattutto un gran numero di bar cui non mancano avventori. Le nuove generazioni vanno, d'altra parte, sempre più fuori dal paese in cerca d'altro; e non per fronteggiare la povertà, come facevano i vecchi andalusi che emigravano per cercare uno straccio di lavoro. I nuovi nati desiderano sempre meno lavorare in fabbrica o nel campo. Questo, per l'economia del villaggio, è un problema che si farà sentire credo già in un periodo relativamente breve. Il modello “Marinaleda” è quindi forse al tramonto?

 

Appropriazione, partecipazione e redistribuzione

 

Per capire quali siano le possibilità di tenuta del modello “Marinaleda” è necessario anzitutto guardare ai principi che hanno animato la sua costruzione, per valutarne l'attualità. Riassumerei in tre parole d'ordine: appropriazione, partecipazione e redistribuzione. La messa a fuoco teorica di questa triade e la sua messa al lavoro nella prassi politica viene dalla coscienza:

 

  1. che la proprietà è in origine una appropriazione, e che prima di redistribuire è anzitutto necessario “espropriare gli espropriatori”. Solo poi vengono in primo piano i problemi della produzione e della redistribuzione (Schmitt [1968] 1972, p. 307);
  2. che una proprietà collettiva in grado di arginare le derive dell'accumulazione da parte di un singolo necessita di una organizzazione e di una partecipazione altrettanto collettiva;
  3. che solo le due condizioni di cui sopra possono consentire, adesso sì, una effettiva e radicale redistribuzione della ricchezza prodotta.

 

Solo la discussione della titolarità della ricchezza in quanto proprietà consente di passare da un possesso inteso come godimento esclusivo del singolo a una dimensione di uso in quanto diritto collettivo (Virno 2012).

 

Applicazione a nuovi contesti

 

A Marinaleda questi principi continuano a operare, sia praticamente che nella coscienza. La memoria storica degli accadimenti è ancora fresca, e in molti hanno chiaro che tutto ciò che il pueblo adesso possiede non è stato calato dal cielo: è frutto della lotta, e di una lotta condotta secondo quei principi. Essi, non avendo perso in niente di attualità, possono consentire adattamenti a nuovi contesti. La vendita obbligatoria della forza-lavoro, che per Marx era ciò che rendeva schiavo un lavoratore - basta dare anche solo uno sguardo ai Manoscritti econocmico-filosofici del 1844 -, è forse cessata dacché si è smesso - e mica tutti - di lavorare nei campi o in fabbrica? Il nuovo contesto pone nuove sfide, non c'è dubbio, ma tali da poter venire condotte con profitto anche all'interno del quadro programmatico sopra tracciato.

 

Autonomia comunale in un contesto più ampio

 

Una delle critiche più comuni che vengono fatte al modello “Marinaleda” è di essere possibile, di fatto, solo all'interno di un contesto politico-economico più ampio. Il paese, da solo, non potrebbe sostenersi; abbisogna della regione autonoma di Andalusia, e poco più sopra del governo di Madrid. Lo svagato sognatore guarderebbe con occhi innamorati l'alternativa rappresentata dal pueblo andaluso non rendendosi conto che non si tratta di una vera alternativa: il contesto è sempre quello statale. Ma questa osservazione può essere benissimo rivolta contro gli stessi che l'hanno pronunciata, e per almeno due buone ragioni:

 

  1. nessuna entità politica esistente, per quanto grande sia, si sostenta da sola. L'interdipendenza dei contesti politici-economici è oggi un dato di fatto che è impossibile estirpare. E probabilmente neanche è auspicabile farlo;
  2. il fatto che Marinaleda sopravviva in un contesto statale più ampio impone, a maggior ragione, di considerare la sua riproducibilità in altri contesti. Il paese vive di un interscambio con altre entità politiche all'interno delle quali è inserito, e proprio perciò può fungere da modello di autonomia riproducibile in contesti del genere – penso certamente agli stati nazionali in generale, ma anche all'Unione Europea.

 

Marinaleda può funzionare insomma come modello di autonomia comunale nel contesto di uno stato di diritto. È un fatto. E credo sia quanto meno interessante che Carlo Levi, per ovviare ai prolemi derivanti dal modello dello stato centralizzato, auspicasse più o meno qualcosa del genere (Levi 1945). 

 

"Otro mundo es posible"

 

Entrando nel bar della cooperativa di Marinaleda si possono vedere, appese al muro, svariate foto degli anni più gloriosi della lotta: una foto raffigura la coda umana degli abitanti in marcia verso l'occupazione di El Humoso, un'altra ci consegna il fermo immagine di una situazione di bivacco sul terreno poi espropriato e un Sanchez Gordillo giovane e ridente. Davanti al bar campeggia una scritta suggestiva: “Otro mundo es posible”. Sono, questi, tra i “monumenti” del paese, del quale si rischia di innamorarsi un po' troppo presto – come credo sia successo a Hancox. Ma prendendo le più decise distanze dal mito e allenando l'occhio critico non si arriva a conclusioni molto diverse da quelle del nostro giornalista. Marinaleda può essere ancora utile, fosse anche solo per ricordarci qualcosa che tendiamo a dimenticare: “Otro mundo es posible” non è una formula romantica, ma un crudo dato di realtà.

 

Marco Valisano

 

Hancox, Dan (2013) Marinaleda, la útopia de un pueblo. Barcelona: Deusto, pp. 221 [Trad. it da originale inglese: Marinaleda. Un villaggio contro il mondo. Roma: Lastarìa, 2013]

 

Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura

Pubblicato Thursday 29 August 2019

Modificato Monday 30 December 2019


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.




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