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Il preambolo magniloquente della cosiddetta Costituzione Europea (un trattato, in realtà) riporta un passo di Tucidide in cui questi fa dire a Pericle: «La nostra Costituzione… si chiama democrazia, perché il potere non è nelle mani di pochi ma dei più». Ecco qua sintetizzata una buona parte delle convinzioni immotivate che nutriamo nei confronti del nostro sistema di governo. Questo libro di Luciano Canfora ha il non piccolo merito di aiutarci a imbastirne una critica.

 

Democrazia: una parola di combattimento

 

Come Canfora dice in un'intervista, "democrazia" nasce come parola di combattimento. Sorge dalla polemica aspra e dalla lotta, dalle rivendicazioni popolari e dalle resistenze di chi esercita il potere. In questo libro l’autore non ripercorre la storia di un termine o il destino di un ambito semantico, bensì proprio alcune di queste battaglie, delucidando le prese di posizione dei contendenti e le poste in gioco. Lo fa attraverso la disamina di una vasta mole documentaria, prestando un’attenzione tutta particolare all'ambiente europeo del XIX e XX secolo e al contesto geopolitico in cui hanno avuto luogo le contese. Quella che Canfora traccia non è una storia a lieto fine, in cui dopo secoli di schiavitù le popolazioni europee avrebbero trovato requie nell’attuale democrazia rappresentativa. Il volume si configura anzi come un’ennesima polemica in questa secolare storia di battaglie umane, e come una presa di posizione all'interno del tempo presente. Un tempo, checché ne dica la vulgata, niente affatto tacitato da un raggiunto Eden in terra, né pacificato dalla cosiddetta fine della storia.

 

Democrazia come governo dei nullatenenti

 

Il nucleo battagliero che innerva ogni pagina di questo libro poggia su una considerazione che già ebbe modo di fare Aristotele, e che Canfora puntualmente riporta: «La discriminante tra i due opposti sistemi politici [oligarchia e democrazia] [...] non risiede nel fatto che a possedere la cittadinanza siano “molti” o “pochi”, bensì se siano possidenti o nullatenenti: il rispettivo numero è “puro accidente”» (p. 45; cfr. Aristotele 2004,1279 b 35). Senza giri di parole, l’autore scrive che Aristotele ebbe «il merito di ancorare i due sistemi al loro contenuto di classe» (Ibid.). Per quanto sia obiettivamente anacronistico parlare di classe riferendosi al contesto greco antico, si passerà il termine. La questione, qui, non è terminologica. 

 

Godimento privato dei beni, ovvero la libertà dei moderni

 

Si prenda l'intuizione aristotelica appena esposta, e le si affianchino le parole di una delle figure più eminenti del liberalismo europeo. Benjamin Constant, nel noto La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, scrive che la nostra libertà «deve esser fatta del godimento pacifico dell’indipendenza privata» (Constant [1819] 2013, p. 15). Egli contrappone questo concetto di libertà a quello che riteneva essere proprio degli antichi greci, il quale secondo lui si sostanziava della «partecipazione attiva e costante al potere collettivo» (Ibid.). La nostra è dunque una libertà esclusiva ed escludente, fatta per coloro che possono bearsi in santa pace dei propri vantaggi economici. Come si vede, secondo questa elaborazione teorica i non possidenti poco sopra ricordati vengono deliberatamente emarginati tanto dalla partecipazione politica attiva (non è di questo che è fatta la nostra libertà) quanto dall’esercizio effettivo di una qualche libertà (giacché essa è godimento dei beni, e i nullatenenti per definizione non ne hanno). Per quanto queste parole ci urtino o possano parere lontane dal nostro modo d’intendere, si rifletta: non è forse questa la libertà di cui pensiamo di avere il diritto di godere? E non la stacchiamo forse nettamente dalla «partecipazione attiva e costante al potere collettivo», che ci pare invece sensato delegare al ceto politico addetto a governare e governarci? Canfora denuncia la vena classista di questa concezione.

 

Critica della governabilità

 

Per questo, complementare alla critica del concetto di democrazia come basato sul numero dei partecipanti, sta quella relativa ai criteri elettorali che garantiscono la cosiddetta governabilità. Questa parola, per noi oramai così sdoganata da arrivare a designare un tassello irrinunciabile della vita associata, non suscita all'autore alcuna simpatia. La traduzione pratica di questo principio è stata infatti sempre la sopraffazione di un gruppo su un altro, e non fa meraviglia che la formulazione per la quale la governabilità sarebbe il compito principale di un sistema di governo abbia un sapore tautologico. E le tautologie, si sa, sono formule non questionabili per definizione.

  

Il nesso tra libertà privata e sistema elettorale maggioritario

 

Canfora chiama perciò in causa alcuni esempi storici di lotte per l'assicurazione, da parte di un gruppo, di questa governabilità su un altro. Uno di questi esempi ci tocca particolarmente da vicino: l'imposizione di un sistema elettorale maggioritario, che per l'autore è del tutto equiparabile a un suffragio ristretto. Vi sono opinioni che non devono essere rappresentate, porzioni della società che non devono partecipare alla gestione della cosa pubblica. La loro moderna libertà, se ne hanno una, non deve avere niente a che fare con la sfera politica. Essa deve sostanziarsi esclusivamente del privato godimento dei loro beni. Sempre che ne abbiano, naturalmente. E forse non è un caso che, da quarant'anni a questa parte, diminuzione della partecipazione politica attiva e abbassamento del tenore di vita collettivo abbiano proceduto di pari passo. Forse non è un caso che al progressivo affermarsi della libertà come godimento intimo e privato si siano accompagnate man mano nuove forme di larvato schiavismo, sempre meno vergognoso di sé. La situazione è in questo senso per tutti la stessa, tanto per gli immigrati che sul nostro suolo sono esclusi dalla cittadinanza attiva quanto per i cittadini che, legittimamente e a pieno titolo, possono delegare altri a governarli.

 

Agire libero e sfera pubblica

 

Per poter affrontare questa faccenda, però, la critica di Canfora risulta insufficiente. Dopo aver denunciato le forme che prendono oggi i dispositivi di esclusione dalla polis, egli infatti non riesce a rinunciare al concetto di libertà privata. Arriva perciò a metterlo drammaticamente in relazione, con Leopardi, a quello di schiavitù: questa è l'altra faccia della libertà, mentre la pena di contrappasso dell'uguaglianza sociale sarebbe l'illibertà (p. 366; cfr. Leopardi [1900] 1997, p. 212). Se accettiamo questo quadro, diviene difficile mettere in discussione tanto le forme di illibertà che quelle di schiavitù, e bisogna rassegnarsi ad accettarle. Ma l'impresa deve presentarcisi in una diversa prospettiva. È necessario connettere senza indugi libertà e partecipazione alla vita pubblica, ristabilire il contatto tra l'azione umana e la politica, la polis, come suo luogo proprio. La dimensione sociale dell'agire non è una sfera dell'umano che può essere libera o non libera, ma è libera di fatto; l'azione privata non esiste, così come non esiste un modo esclusivamente intimo di parlare. Qualsiasi cosa significhi agire liberamente, la cosa è da collocarsi nella sfera pubblica (Virno 2003, 2005). Le rivendicazioni politiche e quelle economiche, le lotte per l'uguaglianza e quelle per la libera partecipazione alla vita associata, prendono con ciò il medesimo sapore. Un sapore piuttosto eversivo.

 

Marco Valisano

 

Canfora, Luciano (2004) La democrazia. Storia di un'ideologia. Roma; Bari: Laterza, pp. 426.

 

Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura

  • Aristotele (2004) Politica, Trad. di Renato Laurenti. In Opere, vol. II. Milano: Mondadori.
  • Constant, Benjamin [1819] (2013) La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni. A cura di Giovanni Paoletti. Torino: Einaudi.
  • Leopardi, Giacomo [1900] (1997) Zibaldone. Edizione integrale diretta da Lucio Felici. Roma: Newton & Compton.
  • Levi, Carlo (1945) Cristo si è fermato a Eboli. Torino: Einaudi.
  • Virno, Paolo (2003) Quando il verbo si fa carne. Linguaggio e natura umana. Torino: Bollati Boringhieri.

Pubblicato Sunday 22 October 2017

Modificato Saturday 28 December 2019


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.




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