LiberCensor

Rispetto agli animali non umani, l’uomo rappresenta secondo Arnold Gehlen un’anomalia. Secondo l'autore si può spiegare la sopravvivenza dei primi attraverso la coppia concettuale “istinti-ambiente”: ogni specie sviluppa una serie di istinti altamente specializzati per la sopravvivenza in un ambiente specifico, tara le proprie risorse adattive su di un contesto determinato e dalle proprietà ben definite: per il leone la savana, i freddi mari e fiumi del nord per i salmoni. Non è questo il caso dell’uomo, che non abita un ambiente specifico ma riesce a cavarsela sia ai poli che nel deserto del Sahara: l'evoluzione di homo sapiens non è stata contrassegnata da una sempre maggiore sintonia con un ambiente specifico, e ha invece seguito il percorso diametralmente inverso (meno specializzati di noi sono probabilmente solo i batteri). Come è possibile tutto ciò? E soprattutto, come è possibile che un essere sprovvisto delle “normali” risorse adattive riesca non solo a sopravvivere, ma addirittura a estendere il suo dominio su tutto il globo e oltre?

 

Primitivismi morfologici

 

Per rispondere alla prima domanda bisogna cominciare dicendo che il contraltare della carenza istintuale e di comportamenti specializzati è una morfologia a sua volta non-specializzata. Rifacendosi a diverse teorie di biologi a lui contemporanei (Bolk [1926] 2006; Portmann 1989), Gehlen sostiene che le peculiarità organiche umane sono da considerarsi dei primitivismi. Vale a dire «stadi fetali ontogenetici, che l’uomo conserva anche da adulto, o stadi filogenetici». In altri termini: nei sapiens adulti si conservano numerosi tratti che negli altri primati sono fetali e/o infantili (cfr. anche Mazzeo 2016, 2003). Un generale ritardamento dello sviluppo dovuto a una differente regolazione ormonale fa sì che i suoi organi mantengano un carattere fetale, anche se nel complesso l’organismo raggiunge la maturazione sessuale (pp. 144-161). Ecco dei dati riportati da Gehlen sul ritardo dello sviluppo:

 

SpeciePeso alla nascita (kg)Suo raddoppiamento (giorni)
Maiale2,014
Vitello40,047
Cavallo4560
Uomo3,5180

 

Tra i primitivismi morfologici troviamo invece: glabrezza, depigmentazione della cute, forma dei padiglioni auricolari, epicanto, posizione centrale del forame occipitale, cospicuo peso del cervello, persistenza delle suture craniche, le grandi labbra nella femmina, struttura della mano e del piede, forma del bacino e altri ancora.

Questi primitivismi non sono riscontrabili guardando soltanto all’ontogenesi dei primati. Anche sotto il profilo filogenetico l’essere umano appartiene, secondo Gehlen, a uno stadio più primitivo (antico) rispetto agli altri primati. Ne è una prova il fatto che i resti fossili dell’australopiteco presentino una morfologia molto più simile a quella umana che a quella degli altri primati. Questi ultimi si sono specializzati raggiungendo forme di adattamento calibrate su ambienti specifici, mentre l’uomo ha mantenuto una forma arcaica. Da tutti i punti di vista l’essere umano appare essere “rimasto indietro”, e «dunque in realtà – a dirla in termini grossolani – non l’uomo discenderebbe dalla scimmia, sibbene la scimmia dall'uomo» (p. 137).

 

Eccesso pulsionale

 

Un elemento importante da sottolineare è ciò che Gehlen chiama eccesso pulsionale. Una pulsione è (genericamente) un impulso ad agire: sprovvisto di un repertorio selezionato di istinti innescati dall’ambiente esterno, l’uomo è esposto a un profluvio di stimoli, a una pressione cronica di compiti da realizzare nell’azione (cfr. anche Uexküll [1934] 2013). Il suo agire non è insomma descrivibile nei termini della soddisfazione di bisogni elementari minimi, quali ad esempio il cibo o il sesso. Ma c’è di più: se il comportamento umano non è organizzato in base a istinti specializzati, tuttavia permangono nel sapiens alcuni istinti basilari (cibo, sesso, ecc.) che però assumono una diversa tempistica rispetto agli animali non umani. Se per esempio la sessualità è normalmente legata al ciclo dell’estro, quindi ha una cadenza periodica, nel caso dell’uomo abbiamo a che fare con una aperiodicità della pulsione sessuale, che così è cronica. In altre parole, la vita pulsionale dell’essere umano è aperta e malleabile.

 

Esonero

 

La nostra vita pulsionale, in quanto aperta e malleabile, è qualcosa a cui dobbiamo dare forma, condurre e direzionare; anche perché c’è il pericolo (a cui Gehlen è molto sensibile) che questo eccesso si sfoghi nell’aggressività reciproca, quindi nella guerra civile tra uomini. Per gestire le proprie pulsioni, i sapiens hanno a disposizione il dispositivo dell'esonero (Entlastung: letteralmente “ex-onerare”, “togliere l'onere”). L'onere da cui la nostra specie deve venire sgravata è quello di far fronte al proprio eccesso pulsionale, acquisendo modalità di azione abitudinarie che selezionino cosa fare e come farlo (in mancanza, appunto, di moduli istintuali che già abbiano per noi tutto deciso). Un agire esonerato è perciò un agire più sicuro, stabilizzato, quasi istintivo; atti complessi possono venire svolti, adesso, senza particolare dispendio di energia (guidare l'automobile dopo aver fatto molta pratica), permettendo così l'impiego delle proprie energie per scopi superiori (guidare mentre si conversa con un amico seduto di fianco).

Vi sono sostanzialmente due modi in cui, per Gehlen, l'essere umano guadagna un comportamento esonerato, abitualizzato, ed entrambi riguardano il processo di interscambio tra organismo e mondo attorno (circolo dell'azione):

 

  1. attraverso il lento processo di padroneggiamento fisico del mondo e del proprio corpo. Muovo la chiave così e così per aprire la porta; se la porta si apre ho avuto successo, e ripeterò perciò gli stessi movimenti per raggiungere il medesimo scopo in altre circostanze simili;

  2. attraverso il processo di incorporazione di norme sociali. L'azione, in questo caso, viene coronata da successo (e perciò si stabilizza) grazie all'approvazione degli umani dintorno: si fa / non si fa. Il “successo”, in questo caso, ha natura istituita.

 

Strutturazione della vita pulsionale: le istituzioni

 

Ritardamento, primitivismi morfologici, eccesso pulsionale, pericolosa e incontrollata aggressività, esonero: queste sono le parole chiave del discorso bio-antropologico di Gehlen, e che gli tornano poi utili laddove cerca di imbastire una qualche plausibile teoria delle istituzioni. Il problema delle istituzioni è infatti, per Gehlen, essenzialmente un problema di strutturazione della nostra eccedente vita pulsionale attraverso l'esonero; un problema che riguarda il possibile raggiungimento, da parte di un animale carente di istinti specializzati, di un comportamento così sicuro da apparire quasi-istintivo:

 

[…] date la sua apertura al mondo e la riduzione dei suoi istinti, e date l'inverosimile plasticità e l'instabilità potenzialmente insite in lui, come perviene l'uomo, propriamente, a un comportamento prevedibile, regolare e quindi evocabile, in condizioni date, con relativa sicurezza, come perviene dunque a un comportamento che si potrebbe chiamare quasi-istintivo e quasi-automatico e che, nel suo caso, sta al posto di quello istintivo autentico ed è il solo, palesemente, a definire la stabilità della compagine sociale? Porre questa questione equivale a porre il problema delle istituzioni (p. 120).

 

L'istituzionalizzazione della vita (cioè l’azione in conformità a norme o regole pubbliche condivise) fa acquisire al sapiens delle modalità di azione incorporate, gli consente di guadagnare un habitus di disposizioni durevoli. Attraverso le istituzioni, gli esseri umani diventano in grado di espletare una sicurezza quasi istintiva nella propria azione, ed è questa stabilizzazione delle pulsioni che consente all'uomo di progettare la propria esistenza in modo saldo, riducendo al minimo gli imprevisti e controllando la propria aggressività, così da poter sopravvivere anche l’indomani.

 

Un corpo addestrato è un corpo sano

 

I modi in cui l’istituzione prende in carico la nostra indeterminata capacità di azione sono, in questo libro, sistemati secondo un implicito crescendo:

 

  1. educazione: una certa pedagogia, la quale forma intelletto e abitudine plasmando le pulsioni;

  2. autodisciplina: l’istituzione mira a indurre negli individui un controllo dei propri appetiti e una regolazione delle pulsioni attraverso un auto-addestramento;

  3. diade composta da “apparato strumentale” (concetto coniato da Malinowski per definire quello di “cultura”) e “polipo giuridico” (concetto coniato da Jhering per definire l'apparato giuridico dello Stato).

 

Un corpo sano, ci dice Gehlen, è un corpo le cui pulsioni sono strutturate secondo queste modalità istituite. I bisogni che un corpo sano, in larga misura, avvertirà, saranno quelli di cui qualche istituzione avrà consentito l'incorporazione. L'istituzione consente la nascita di un noi, di una comunità politica, dal momento in cui l'intero gruppo si identifica alla stessa maniera e struttura le proprie pulsioni attraverso i medesimi dispositivi.

Uniformità di auto-identificazione, uniformità di abitudini e morale: è questo che fa una comunità politica. L'ambito dell'intersoggettività, della relazione con gli altri umani, è una sfera di mero apprendimento/addestramento, di adeguamento a norme istituite. Ed è proprio la piena conformità alle istituzioni vigenti a rendere sano il corpo di un umano. Per questo Gehlen agita a più riprese lo spauracchio del crollo di queste istituzioni: la adeguatezza/rispondenza ad esse è essenziale alla vita umana, mentre il loro venire meno porterebbe giocoforza alla riemersione del nostro pericoloso eccesso pulsionale, con il connesso rischio di aggressività, che proprio le istituzioni sono chiamate a inquadrare.

 

Confusione tra piano storico e piano antropologico: il fare istituzione

 

Ma Gehlen, nel suo tentativo politicamente orientato di elaborare una teoria delle istituzioni conservatrice, paga un prezzo teorico probabilmente troppo alto. Infatti, se esonero e istituzionalizzazione della vita sono per gli umani delle necessità antropologiche primarie, inizia a divenire quantomeno opaco l'avviso a non destituire le istituzioni ora vigenti.

A più riprese, Gehlen avverte che la rovina di una istituzione porterebbe a nuova manifestazione i nostri primitivismi, l'eccesso pulsionale, l'incontrollata aggressività intraspecifica. Ma ogni volta che lo fa si ha la nitida impressione che egli confonda volutamente due piani che devono invece rimanere distinti: il piano storico (questa istituzione) e quello antropologico (il necessario processo del fare istituzione; cfr. Deleuze [1953] 1981; cfr. anche Id. [1955] 2014, pp. 29-33). Se anche le istituzioni storiche (un certo modo di agire e di parlare, un certo codice di leggi, una certa organizzazione gerarchica) venissero a un certo momento meno, quel che non potrebbe comunque scomparire è questo fare istituzione, ovvero quel processo intersoggettivo che sempre di nuovo mette in forma la nostra vita pulsionale. In sintesi: il crollo di una istituzione non porta con sé lo stato di natura, ma la nascita di nuove istituzioni (cfr. Fadini 2016). È chiaro che, per uno strenuo conservatore come Gehlen, questo aspetto della questione debba rimanere inindagato, e la crepa teorica che qui abbiamo individuato rappresenta la maggiore spia della parzialità della filosofia gehleniana.

 

Adriano Bertollini & Marco Valisano

 

Gehlen, Arnold [1940] (2010) L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo. A cura di Vallori Rasini. Milano; Udine: Mimesis, pp. 485.

 

Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura

Pubblicato Thursday 10 May 2018

Modificato Wednesday 6 May 2020


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.


Adriano Bertollini

Adriano Bertollini è dottorando presso l'Università  della Calabria dove sta portando avanti una ricerca sull'antropologia filosofica dell'amicizia. Tra i suoi interessi principali il ciclismo, la Roma, e, nel tempo che resta, la filosofia.



Commenti