L'università struccata. Il movimento dell'Onda tra Marx, Toni Negri e il professor Perotti
L'università italiana, oramai è quasi un luogo comune, non gode di ottima salute. Tanto nei settori delle scienze dure quanto in quelli delle humanities spesso galleggia in uno stato al limite del comatoso. Per eccesso, certo, ma la diagnosi ha del vero. Le letture che si possono dare del fenomeno in questione sono diverse, anche diametralmente opposte: pochi finanziamenti, dice qualcuno; struttura baronale e non funzionale, dicono altri. Questa condizione stagnante, quale che ne sia l'origine, risente anche dell'incertezza riguardante il tipo di rapporto che dovrebbe intercorrere tra l'università e il mondo del lavoro – il sistema produttivo – nel suo insieme. Anche qui: qualcuno sostiene la necessità di mantenere in certo modo staccate produzione e sapere; qualcun altro raccomanda di far lavorare a stretto contatto queste due dimensioni, desiderando che le imprese economiche entrino in accademia. È in questo dibattito che prende posto il libro di Raul Mordenti, il quale cerca dapprima di tracciare un panorama della situazione dell'università italiana per poi fare i conti con le ipotesi che provano a inquadrare questa produzione di sapere nel contesto del capitalismo contemporaneo.
La massa viene respinta
Il libro parte da lontano, da quegli anni Sessanta che hanno visto accedere le masse all'università. E si tratta di un accesso, si badi, che non fu calato dall'alto, ma che fu attivamente e conflittualmente perseguito. Attingendo ad analisi di ordine quantitativo, Mordenti mostra come, nei decenni successivi, le dette masse siano state di fatto respinte. Questo è avvenuto attraverso due modalità complementari: da un lato si sono ridotti i finanziamenti pubblici, dall'altro si è ristrutturata l'università in senso aziendalistico e se ne è ridotta la capacità formativa e qualificante. L'oggetto principale della critica di Mordenti può compendiarsi nelle parole attribuite a Luigi Berlinguer a proposito del sistema universitario: «Non c'è altra via: o si abbassa la qualità per la massa, o si abbassa la massa (escludendo) per la qualità» (p. 36). Bisogna dire che le due strategie, se di strategie si è trattato, sono state portate avanti assieme: si è abbassato la qualità creando precariato universitario, inventando il 3+2, imponendo alla ricerca dei ritmi di lavoro e produzione che non le sono propri; si è esclusa parte degli studenti, quando in maniera diretta (si pensi al numero chiuso) quando indiretta (con l'insufficienza di politiche di diritto allo studio). Mordenti fa inoltre sobriamente notare che un simile andamento non viene spiegato dalle parole di Berlinguer, ma da una scelta politica precisa. Lo fa con un paragone suggestivo e calzante:
[...] nei settori in cui si persegue più direttamente l'eccellenza dei risultati (pensiamo, ad esempio, allo sport) a nessuno verrebbe in mente di ridurre la quantità degli sportivi pensando di ottenere in tal modo più record, più primati e più medaglie olimpiche, cioè per ottenere una maggiore qualità. [...] Ciò accade [per l'università] solo perché si assume come un dato immutabile (non innalzabile, e anzi semmai solo ulteriormente comprimibile) l'ammontare totale della spesa pubblica per l'Università, ciè che invece è con ogni evidenza il frutto di una scelta, di una scelta politica (p. 37).
Punto azzeccato, touché.
Breve cenno per i dissenzienti
Molti non saranno probabilmente d'accordo con questa analisi. Se l'università italiana ristagna, diranno, non è perché mancano attenzioni e finanziamenti, ma perché essa è una struttura baronale e parassitaria. Devo dire che a questa obiezione il libro di Mordenti risponde meravigliosamente, mostrando che, se è certo vero che l'università italiana non è scevra da pesanti difetti strutturali, non è ad essi che si può ascrivere l'attuale situazione. Lo fa numeri alla mano, mostrando come i finanziamenti pubblici siano esigui e mettendo in risalto un fenomeno scandaloso che i “molti” di cui sopra non prendono nemmeno in considerazione: il finanziamento pubblico delle università private. Attraverso questi finanziamenti, le università private sono in grado di fare concorrenza a quelle pubbliche con... denaro pubblico (p. 56).
Lo studente come forza-lavoro in formazione
Ma l'obiezione all'ottima analisi di Mordenti può suonare anche in maniera diversa: se mancano capitali, si dirà, perché non fare entrare il denaro dei privati nell'università? Questo farebbe lavorare di concerto aziende e produzione di conoscenza, formando gli studenti direttamente per il mondo del lavoro. È chiaro che un finanziamento privato imporrebbe alla ricerca gli scopi del profitto immediato, se non addirittura il rigido status quaestionis di un certo ambito disciplinare (si pensi al caso della cattedra di “Finanza aziendale” della Bocconi, finanziata dalla Lehman Brothers; p. 64). Ma si potrebbe anche osservare, a questo punto, che non ci sarebbe niente di male, niente di deleterio in tutto ciò. Non si studia forse per trovare un lavoro? In questo senso la scelta politica di ridurre i finanziamenti all'università si nutrirebbe di una semplice necessità strutturale. Mordenti aveva abbozzato la critica a questo punto già all'inizio del volume, asserendo che le analisi che nel '68 erano maggioritarie, e che vedevano negli studenti solo una forza-lavoro in formazione, erano insufficienti se non addirittura inesatte (pp. 13-14). Questo punto va preso di petto. Lasciando da parte i toni da “palazzo di cristallo” e “tempio del sapere”, che vorrebbero la produzione di conoscenze essere completamente avulsa dal sistema produttivo, addentriamoci adesso nella seconda parte del libro, l'Appendice. È qui che sta la ragione essenziale per cui non è accettabile, secondo Mordenti, l'entrata dei capitali privati nell'università (e dunque una lettura dello "studente" come "forza-lavoro in formazione"), mentre è indispensabile che la ricerca si mantenga libera attraverso il finanziamento pubblico.
Lo squilibrio tra sviluppo delle forze produttive e sistema produttivo
Mordenti inizia le proprie considerazioni a partire da un classico. Secondo Karl Marx, ciò che pone le condizioni di possibilità di una rivoluzione sociale è il disequilibrio tra sviluppo delle forze produttive e sistema produttivo:
A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale (p. 113-114; Marx [1859] 1971, pp. 4-5).
Il sistema di produzione fomenta innovazione e cambiamento, mette in movimento delle forze produttive che lo eccedono e che pongono le basi per nuovi rapporti di produzione. Ecco dunque il quadro: per Mordenti l'università è uno dei luoghi privilegiati di sviluppo delle forze produttive, e per poter mantenere la propria capacità trasformativa deve conservarsi in certo modo libera dalle imposizioni del sistema produttivo in quanto tale. Per questo, sembra dirci l'autore, si cerca di minare l'accademia e/o di agganciarla all'attuale sistema produttivo. La ricerca produce un'eccedenza di conoscenze che va inibita da un lato e gestita di modo da poterne profittare dall'altro. E questo soprattutto in un'epoca come quella contemporanea, in cui la produzione di conoscenza è sempre più la fonte di plusvalore e profitto. Per questo, proprio per questo, il finanziamento all'università deve rimanere pubblico: si tratta di garantire lo scarto, mettere al sicuro l'eccedenza.
Un'altra possibilità: l'irrilevanza dell'università
Il quadro è stimolante, e l'autore ha le sue ragioni. Ma è necessario evidenziare che c'è un secondo motivo per il quale è possibile che l'università venga minata nella sua esistenza autonoma. E questo motivo potrebbe non stare nella sua importanza, bensì nella sua completa irrilevanza per il sistema produttivo. Mi pare che Mordenti non veda questa possibilità, perché aggancia l'eccedenza creativa dello sviluppo delle forze produttive alla produzione specialistica di saperi e conoscenze. Questo lo porta a quello che mi pare un fraintendimento di alcune tesi operaiste, nella fattispecie di uno dei massimi rappresentanti di questa tradizione, ovvero Toni Negri.
Classe operaia e moltitudine
La tesi, almeno per qualcuno, sarà nota: la metropoli ha ormai preso il posto della fabbrica (Negri 2008). Mordenti la intende come una conclusione facilona per la quale oramai la produzione di plusvalore non verrebbe più mediata dalla struttura produttiva (una fabbrica, un insieme di macchine), coincidendo senza scarti con la vita. Se la metropoli, addirittura la vita, è produttiva di per sé, da dove il dominio del capitale? Da dove il plusvalore? Dove si situerebbe mai, oggi, la contraddizione tra sistema produttivo e sviluppo delle forze produttive? Ecco perché, dice l'autore, si dice che è scomparsa la classe operaia! Se la vita stessa è produzione, il vecchio soggetto operaio toglie il disturbo in favore di una moltitudine pulviscolare di soggetti isolati e politicamente non organizzabili. Ma, come dicevo, mi pare si tratti di un fraintendimento. È sufficiente prendere alcuni interventi di Negri (cfr. ad esempio Negri 2014), nonché alcuni passi di un altro esponente di spicco dell'operaismo italiano, ovvero Paolo Virno, per convincersi che la corrente suddetta non sbandiera affatto né la fine della classe operaia né la fine di ogni contraddizione tra capitale e lavoro. Bastino qua le parole di Virno:
Può sembrare che la moltitudine [la nuova forma d'essere degli sfruttati] segni la fine della classe operaia. [...] Questa è una sciocchezza, cara a chi ha bisogno di semplificare le questioni e di inebriarsi di frasi a effetto [...]. La classe operaia non coincide, né in Marx né nell'opinione di qualsiasi persona seria, con certi abiti, certi usi e costumi [...]. Classe operaia è un concetto teorico, non una foto-ricordo: indica il soggetto che produce plusvalore assoluto e relativo. [...] Essere moltitudine non impedisce affatto di produrre plusvalore. [...] Tutto si complica. Quanto sarebbe più semplice raccontarci che ora c'è la moltitudine, non più la classe operaia... Ma se si vuole semplicità a tutti i costi, basta scolarsi una bottiglia di rosso (Virno [2001] 2002, pp. 38-39)
La produzione di conoscenza è oggi dovunque
La moltitudine è solo l'attuale modo d'essere di quel soggetto economico che continua a essere la classe operaia. E continua perciò a sussistere la contraddizione tra capitale e lavoro. La produzione di conoscenza non è produttiva di per sé stessa, ma solo all'interno di un certo processo di valorizzazione, di sussunzione nel capitale (magari in quello finanziario e nel sistema del credito), solo a contatto con un sistema di dispositivi e macchine. Ma ciò che viene sussunto può anche non essere il singolo sapere specialistico, bensì la più ampia rete di relazioni sociali. Eccoci quindi tornati al tema dell'università, forti di qualche cognizione in più: i centri universitari potrebbero star deperendo non perché minati al fine di impedire un eccessivo sviluppo delle forze produttive, ma perché questo sviluppo verrebbe garantito di più e meglio al di fuori di essi; perché la produzione di conoscenza che eccede il sistema produttivo sarebbe, oggi, dovunque.
Siamo qui davanti a un punto davvero problematico, a un nodo della discussione che va faticosamente sciolto. È noto, d'altra parte, che gli ostacoli non si scelgono, si superano. Come scrive l'autore all'inizio del suo bel libro: Hic Rhodus, hic salta.
Mordenti, Raul (2010) L'università struccata. Il movimento dell'Onda tra Marx, Toni Negri e il professor Perotti. Milano: Edizioni Punto Rosso.
Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura
- Chicchi, Federico (2019) Karl Marx. La soggettività come prassi. Milano: Feltrinelli.
- Marx, Karl [1859] (1971) Per la critica dell'economia politica. Roma: Editori Riuniti.
- Mazzeo, Marco (2016) La neotenia al lavoro. Intervento tenuto presso l'Università degli Studi di Firenze.
- (2019) Capitalismo linguistico e natura umana. Per una storia naturale. Roma: DeriveApprodi.
- Negri, Antonio (2008) Dalla fabbrica alla metropoli. Saggi politici. Roma: Datanews.
- (2014) La comune della cooperazione sociale. Intervista ad Antonio Negri sulla metropoli. Intervista a cura di Federico Tomasello, pubblicata su euronomade.info.
- Virno, Paolo [1986] (2011) Convenzione e materialismo. L'unicità senz'aura. Roma: DeriveApprodi.
- [2001] (2002) Grammatica della moltitudine. Per un'analisi delle forme di vita contemporanee. Roma: DeriveApprodi.
- (2017) Chi sono i comunisti? Intervento in occasione del ciclo di seminari organizzati dalla Libera Università Metropolitana di Roma in occasione del centenario della Rivoluzione d'Ottobre.
Pubblicato Sunday 5 January 2020
Modificato Saturday 18 January 2020