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Un oracolo che prevede un avvenimento, una strega che pronuncia formule per uccidere un uomo, o per guarirlo da un brutto male; ma anche una autorità cittadina che inaugura un centro commerciale con il tradizionale taglio del nastro, o una nobildonna che battezza un'imbarcazione con una bottiglia di champagne. Tutte pratiche che potremmo definire magiche, e che rappresentano uno dei fatti più curiosi che ci consegna la storia naturale della nostra specie. In questo libro Ernesto de Martino le prende molto sul serio.

 

Uno strato arcaico dell'umano

 

Il materiale antropologico su cui l'autore lavora in questo studio riguarda essenzialmente le comunità cosiddette primitive. Una delle tesi del volume è infatti che esse, con le loro diffuse pratiche magiche, esemplifichino con particolare nitore uno stadio umano più arcaico, laddove però con questo termine non bisogna intendere tanto un momento storico ormai trascorso quanto una struttura primitiva dell'umano. Un cominciamento logico, insomma, e non cronologico (cfr. de Martino [1941] 1997p. 58).

 

Il problema dei poteri magici e il concetto di realtà

 

Subito un problema si impone, ovvero quello relativo alla realtà dei poteri magici. Sono reali? Hanno davvero degli effetti concreti sul mondo? Gran parte della letteratura antropologica che de Martino consulta è concorde nel rispondere di no. Un'altra parte, più ristretta, si schiera invece decisamente per il sì. Per de Martino, invece, l'intera faccenda risulta oziosa. E non solo perché nessuna delle due fazioni pare avere dalla sua prove schiaccianti. Ciò che interessa l'autore è un'altra questione: perché il problema dei poteri magici si presenta immancabilmente, a noi, nella forma di una verifica della loro realtà oggettiva, negata o asserita che sia? Il nocciolo polemico dell'argomentazione demartiniana sta qui, nel fatto che noi «si è tentati di presupporre per ovvio che cosa si debba intendere per realtà, quasi si trattasse di un concetto tranquillamente posseduto dalla mente, al riparo da ogni aporia» (pp. 9-10).

 

La produzione storica di una datità

 

È un'idea, questa, non nuova nella storia della filosofia, e che ha preso le più diverse declinazioni. A grandi linee, possiamo riassumere così: gli umani hanno accesso al reale solo per mezzo delle rappresentazioni che se ne fanno, ed è dunque fuori luogo domandarsi cosa stia davvero dietro a quelle rappresentazioni poiché esse sono, letteralmente, tutta la nostra realtà. De Martino prende così posto in questa nobile genealogia, e lo fa in maniera davvero peculiare. Non si tratta, per lui, solo di stabilire questo punto, o di argomentarlo. Egli si pone la domanda tanto del perché gli uomini costruiscono il mondo di senso in cui vivono, quanto del come, cioè delle modalità specifiche in cui lo fanno. Larga parte de Il mondo magico non è che una trattazione delle cause esistenziali e delle modalità storiche di produzione di una datità.

 

Presenza e datità

 

Ma produrre un mondo fa, in de Martino, tutt'uno con la produzione del soggetto che lo abita. Un determinato concetto di realtà porta insomma con sé, necessariamente, un certo soggetto presente in essa. Con le parole dell'autore, la fondazione di un mondo fa tutt'uno con la fondazione di una presenza. Con ogni probabilità ricalcato sul Dasein heideggeriano (p. 160), il termine viene in questo libro precisato attraverso un suo accostamento alla kantiana unità analitica dell'appercezione, ovvero quel «pensiero dell'io che non varia con i suoi contenuti, ma che li comprende come suoi» (p. 159; cfr. Kant [1787] 2004, B 134). Se per Kant l'unità di questo "Io penso" deve giocoforza accompagnare ogni particolare rappresentazione di questo stesso Io ed essergli perciò sempre presupposta, così non è per de Martino.

 

Crisi della presenza e riscatto magico

 

Per quest’ultimo l’unità della coscienza può sfaldarsi, ed è precisamente questo il dramma umano che ci obbliga a formare un mondo, il perché esistenziale di cui sopra. Ed è a questo punto che segue, senza soluzione di continuità, anche la spiegazione demartiniana del come, la quale esaurisce il tentativo di comprendere il senso delle pratiche magiche: il continuo rischio di sfaldamento della presenza impone delle efficaci tecniche di consolidamento e di ripresa della nostra presenza, e queste tecniche, per de Martino, sono le pratiche magiche (cfr. anche De Martino [1958] 2000). In questa cornice la magia, con i suoi strampalati rituali e i suoi apparentemente inefficaci metodi d'azione, cessa di configurarsi come la "sorella bastarda della scienza" (Frazer [1890] 1994, p. 46) o come il frutto malato di una mentalità primitiva (Lévy-Bruhl [1927] 2007). Le pratiche magiche hanno una «efficacia soterica reale» (p. 85) proprio perché il loro reale obiettivo non è agire sul mondo o nel mondo, ma porre un mondo in essere. Il magismo è insomma quella dimensione della prassi umana che, in luogo di riferirsi alla coscienza e alla realtà esterna in quanto presupposti, li istituisce.

 

Paci, Croce e la magia del nostro mondo

 

Vi è però una profonda ambiguità che permea il volume. Per il de Martino del '48 il magismo è un'epoca storica, un'epoca in cui la presenza degli individui non stava ancora come garantita e certa di sé, avendo perciò bisogno di costanti tecniche di ripresa. Poco importa, in questo senso, che l'autore non intendesse riferirsi a un effettivo scarto cronologico ma ad una dimensione arcaica dell'umano. Il fatto è che separa nettamente noi, che non avremmo più bisogno degli stratagemmi del magismo, da loro, che invece sono ancora impegnati nella costruzione di una presenza e di un mondo stabili (p. 74). Tanto la critica di Pace quanto quella di Croce, che si trovano in appendice alla seconda ristampa del volume, battono seppur con diverso accento su questa pretesa separatezza dei due mondi, la quale non può venire in nessun caso giustificata. O la presenza è già data per tutti all'interno delle categorie dello spirito, oppure non lo è per nessuno (Paci [1950] 1998; Croce [1949] 1998). Ma in queste mie righe ho dato questa ambiguità per risolta. Come risolta sarà sempre di più, nel corso degli anni, anche per de Martino, il quale meditando le critiche estenderà man mano le considerazioni sul mondo magico al mondo umano in generale. Il magismo cesserà di essere un’epoca, e il nostro mondo, invaso ormai dal magico fin nella sua più intima struttura, perderà pian piano quella presenza data e incrollabile che de Martino aveva creduto di potergli riconoscere. Ecco perché questo libro va letto così, come se da cima a fondo parlasse di noi.

 

Marco Valisano

 

Ernesto de Martino [1948] (1998) Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Introduzione di Cesare Cases. Torino: Bollati Boringhieri, pp. 309.

 

Bibliografia, riferimenti e suggerimenti di lettura

Pubblicato Friday 6 October 2017

Modificato Saturday 28 December 2019


Marco Valisano

Marco Valisano

Nato nel 1987, laureato in storia nel 2013 e in scienze delle religioni nel 2017, adesso sono dottorando dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e sto portando avanti un progetto in antropologia filosofica e teoria delle istituzioni.




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